martedì 30 ottobre 2012

'Nave dolce', film amaro

''L'Italia è un paese che non ha coscienza di essere di frontiera. Il caso della nave Vlora è stato un po' come quello del muro di Berlino in cui si è visto, tra l'altro, che un paese che non sa gestire l'ordine pubblico e' un paese senza civilta'. E, va detto, tra 'La nave dolce' e il mio film 'Diaz' la distanza e' davvero poca''. Daniele Vicari è un fiume in piena nel presentare a Roma 'La nave dolce', che dopo essere passato alla Mostra di Venezia arriva nelle sale dall'8 novembre distribuito da Microcinema.
Il docufilm racconta, attraverso testimonianze (tra cui quella del ballerino Kledi Kadiu - nella foto) e filmati, lo sbarco nel 1991 di migliaia di albanesi nel porto di Bari, tutti poi respinti al loro paese di origine dopo una disastrosa gestione dell'accoglienza da parte italiana. ''Ci sono molte similitudini tra questo caso e quello della scuola Diaz - dice il regista -. C'e' la stessa attitudine non democratica, l'idea di mettere le persone nello stadio. Una cosa che ti fa venire in mente il Cile. Insomma, dieci anni dopo quello sbarco di Bari, a Genova e' accaduta la stessa cosa, anche peggio. A Genova e' stato
mandato l'esercito e l'esercito ha fatto la guerra, ha organizzato una deportazione. Un po' come e' accaduto nel porto di Genova e poi con tanto di espulsione, in un caso e nell'altro, manu militari, delle persone''.
''La pozione magica era finita, mentre e' subentrato un grande dispiacere e una delusione. Non si puo' dire che ho visto piu' l'Italia come quel Paese che avevo immaginato tante volte sul piccolo schermo quando mi sono trovato di fronte i manganelli dei poliziotti'': cosi' invece il ballerino Kledi Kadiu, tra i protagonisti di quello sbarco all'eta di soli 17 anni.
Ma per Kadiu la situazione in Italia dopo venti anni e' anche peggiorata: ''Allora le persone erano molto piu' curiose. Oggi gli extracomunitari sono visti come nemici pubblici, non si pensa che ci possa essere gente che arriva in Italia solo per migliorare la sua vita. Si pensa solo al business''.
La nave dolce, coproduzione italo-albanese che ha ricevuto stamani il premio Pasinetti per il miglior documentario dal Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici, ''non e' un film di denuncia - spiega ancora Vicari -, ma dimostra una cosa: la ferocia e' inefficace e non paga. All'epoca in Italia c'eranocirca 450.000 extracomunitari e oggi sono invece cinque milioni. Ma il senso ultimo di questo film e' la perdita dell'innocenza da parte di un intero popolo, quello albanese nei confronti dell'Italia, e, dall'altra, da parte della stessa Italia che con quell'episodio e' come divenuta contemporanea, ovvero ndecisa, con mille difficolta' politiche e con il conflitto delle istituzioni. Questo film deve essere una presa di coscienza. Il nazismo non e' poi cosi' lontano e non e' detto che non succeda piu'''.