martedì 4 dicembre 2012

Ancora un mese di Elogio del Dubbio a Punta della Dogana

L’apertura delle due esposizioni, Elogio del dubbio a Punta della Dogana e Il Mondo vi appartiene a Palazzo Grassi, segna i primi cinque anni di attività, dall’aprile 2006, e il debutto di una nuova stagione nella programmazione dell’insieme di Palazzo Grassi e Punta della Dogana – François Pinault Foundation, a Venezia.
Questa giovane istituzione può vantare un considerevole curriculum, nonostante la brevità della sua storia. Sono infatti più di un milione e trecentomila i visitatori che nel corso di questi anni hanno visitato almeno una o entrambe le sedi.
Elogio del Dubbio sarà aperta al pubblico fino alla fine di dicembre 2012. Elogio del Dubbio e Il Mondo vi appartiene hanno proposto due punti di vista molto differenti tra loro rispetto alla creazione artistica contemporanea: più introspettivo e incentrato sul rapporto con il nostro tempo, Elogio del Dubbio; più aperto alla diversità del mondo e focalizzato sul rapporto con lo spazio, Il Mondo vi appartiene.
Per assicurare a questo doppio progetto la necessaria profonda complementarietà, François Pinault ha scelto di affidare l’incarico per la cura di entrambe le esposizioni a Caroline Bourgeois. Attraverso numerosi progetti, sia al Centro d’arte del Plateau a Parigi (l’Argent, Archipeinture, Adel Abdessemed, Joan Jonas, Valie Export, Cao Fei…), sia nell’ambito delle grandi esposizioni itineranti della Collezione François Pinault, a Lille (Passage du Temps, 2007), a Mosca (Un certain état du monde?, 2009) o a Dinard (Qui a peur des artistes?, 2009), Caroline Bourgeois ha mostrato qualità molto preziose per questo tipo di incarico: un approccio rigoroso e sensibile all’arte del nostro tempo, il rifiuto della spettacolarizzazione, l’attenzione alla diversità.
Tengo molto, infine, a insistere sull’importanza che assegniamo e continueremo ad assegnare allo sviluppo delle attività culturali legate alla programmazione espositiva.
Questo tipo di attività privilegerà il principio della presenza e della parola: quella dei critici, degli universitari, degli scrittori e, soprattutto, quella degli artisti.
La mostra Elogio del Dubbio propone un percorso tematico sulla forza e sulla fragilità della condizione umana, a partire da una selezione di opere della Collezione François Pinault.
Appoggiandosi a opere intensamente emblematiche degli anni Sessanta, la mostra, che si sviluppa sino a comprendere i lavori più contemporanei, tende a celebrare il dubbio nei suoi aspetti più dinamici, ovvero la sua forza nello sfidare i pregiudizi, le convinzioni, le certezze. L’idea è di aprire il campo a tutti gli interrogativi possibili per valicare i limiti che ognuno di noi si pone, tentando di reinventare lo sguardo che abbiamo su noi stessi e sul mondo che ci circonda.
La specificità dell’architettura di Punta della Dogana costituisce un’ulteriore accentuazione.
Ogni artista è presentato nell’ambito di uno spazio dedicato e tuttavia aperto agli altri, grazie alle trasparenze e ai passaggi propri di quel luogo. Questa continua connessione contribuisce a creare un originale confronto tra i differenti punti di vista espressi (radicali, impegnati, sensibili, insolenti…).
L’esposizione illustra bene la passione e l’impegno del collezionista François Pinault, che ha l’audacia di uscire dai percorsi più evidenti e prevedibili. La mostra rende testimonianza anche del livello di coinvolgimento degli artisti nella realizzazione delle opere site specific, in particolar modo con i lavori di Julie Mehretu e Tatiana Trouvé, e della partecipazione attiva di alcuni di loro alla selezione delle opere.
L’approccio minimale delle sculture di Donald Judd, situate all’ingresso in mostra, tende a fondere l’estetica nella sensazione, mentre i trofei deviati di Maurizio Cattelan e David Hammons, divenuti ormai emblematici della prima sala di Punta della Dogana, tentano di afferrare il senso di questa insopprimibile voglia di possesso, segno esteriore di un certo potere.
Nell’ambito di un’altra sequenza, Roxys di Edward Kienholz, prima installazione dell’artista (1962) e caposaldo della storia dell’arte contemporanea, l’interrogativo verte sulle pulsioni inespresse dell’uomo. L’artista getta una luce cruda su certe realtà attraverso la riproduzione di una casa di tolleranza, mostrandone la brutalità. Con lo stesso spirito, Paul McCarthy porta uno sguardo ironico sui clichés della donna-oggetto e dell’uomo-conquistatore.
La questione della violenza di gruppo è approcciata da una figura “tutelare”, Marcel Broodthaers, che con Décor propone la messa in scena dei resti del teatro delle nostre guerre, mentre un giovane artista, Thomas Houseago, presentato qui per la prima volta, riprende l’idea della figura umana nella sua assurdità.
Al limite tra solidità e straordinaria fragilità, Well and Truly (2010) di Roni Horn propone un’esperienza fisica che scuote tutte le certezze identitarie. Il gruppo dei nove corpi giacenti di Maurizio Cattelan All (2008) invita alla riflessione sull’annientamento dell’individualità nella morte.
Sorta di prolungamento di queste domande esistenziali, le installazioni di Chen Zhen affrontano le nozioni di tradizione, esilio, sopravvivenza. Proseguendo, Thomas Schütte, con le sue fantomatiche figure, prende in esame la complessità delle relazioni tra lo spazio privato, soggettivo, e lo spazio pubblico, inevitabilmente politico.
L’eccezionale insieme di Sigmar Polke, Axial Age, che a Punta della Dogana sembra aver trovato la propria naturale dimensione, si appoggia a riferimenti classici per bruciarne la temporalità.
Riappropriandosi dell’esposizione storica e iconica di Marcel Duchamp, Sturtevant propone un dibattito sulla questione dell’originalità, dell’aura e del potere (mascolino) dell’oggetto come opera d’arte. E la nozione di oggetto e del suo statuto nell’arte è successivamente affrontata nella serie Popeye di Jeff Koons, attraverso la proposta in chiave “pop” di una vita ideale, oppure, secondo tutt’altre modalità, nelle opere di Subodh Gupta, che si interroga sul mondo globale e multiculturale nel quale viviamo.
La grande sala centrale di Punta della Dogana, il “Cubo”, accoglie una delle due produzioni appositamente commissionate per la mostra, quella di Julie Mehretu. L’artista ha realizzato due grandi quadri, che si nutrono di un lungo lavoro di ricerca sulla storia della città di Venezia, sulla sua architettura e le sue radici, ma anche sulla storia dell’arte e della filosofia rinascimentale.
L’altra opera appositamente concepita e prodotta per l’esposizione è quella di Tatiana Trouvé. Catalizzando l’attenzione sulla nozione di lavoro, sulla percezione di “fuori” e “dentro”, sulle tracce del tempo, l’artista si è appropriata del solo spazio che ricorda la destinazione d’uso iniziale della Dogana da Mar (luogo di entrata e di uscita delle merci), ripensato come luogo di passaggio delle sue stesse opere e dei loro fantasmi.
Adel Abdessemed affronta le conseguenze dei gesti o delle riflessioni, spesso politiche, traducendo in “opera” le questioni della nostra epoca.
A Sturtevant è affidato il compito dell’ultima parola, alla fine del percorso, con un ambiente ispirato a Felix Gonzalez-Torres e il video Finite Infinite (2010), che ci mostra un cane la cui corsa sfrenata rinvia ad alcune delle nostre vane ossessioni.
All’esterno dell’edificio, la scultura di Thomas Schütte, Vater Staat (lo Stato Padre) (2010), posta proprio dinanzi all’ingresso di Punta della Dogana, si contrappone simbolicamente al Boy with Frog (2009) di Charles R ay, instaurando un ideale dialogo sul tema dell’illusione del potere e della trasmissione (del potere, della conoscenza, dell’esperienza..).
Fuori percorso, particolare rilevanza hanno nel progetto curatoriale le due sale del Torrino di Punta della Dogana, in un rimando dialogico tra le opere della collezione e la città, come omaggio al potere simbolico della Serenissima: il vestito da sposa sospeso nell’aria di David Hammons Forgotten Dream (2000) e il grande cuore magenta di Jeff Koons Hanging Heart (1994/2006).